"Prefazione"
Ringrazio, commosso e ammirato, il Dottor Alberto Bertelli, che, nell'articolo che segue, pubblicato nel numero 38° del Journal of the International Society for Preservation of Primitive
Aboriginal Dogs (PADS), ha messo in luce queste tre razze canine italiane da utilità (cane paratore/toccatore italiano, mastino abruzzese/pastore abruzzese, pastore italiano), sottolineando con coraggio e onestà intellettuale la realtà storica e attuale relativa alle stesse, in particolare per quanto
concerne il pastore maremmano-abruzzese e il mastino abruzzese, che le troppe menzogne, oltretutto avallate dall'ENCI e dagli organismi correlati, avevano rischiato di offuscare.
Un sentito grazie per il notevole lavoro, di così¬ grande spessore, anche a nome delle genti d'Abruzzi e regioni limitrofe, per le quali l'antica razza del mastino abruzzese rappresenta l'identità storica e culturale più profonda.
Maurizio Marziali
TRE ANTICHE RAZZE ITALIANE DA PASTORE
di Alberto Bertelli
L'Italia vanta un'antichissima tradizione pastorale, in particolare nell'area centro-meridionale; la pastorizia è inscindibile dall'ausilio dei cani da pastore, di conseguenza il territorio italico è stato caratterizzato dalla presenza di razze specializzate sin dall'antichità.
Nel presente articolo vengono presentate tre razze da pastore tipiche dell'Italia Centrale, non riconosciute dalla FCI ma di antichissimo retaggio: il Mastino Abruzzese, il Cane Paratore Italiano e il Pastore Italiano, ponendo attenzione anche ad alcuni aspetti zootecnici ed etologici.
L'Italia fu oggetto di tre ondate migratorie di pastori-guerrieri indoeuropei nel corso delle età del rame e del bronzo, fra il III millennio a. C. e il 900 a. C.
Non è escluso tuttavia che la pastorizia fosse già nota prima alle popolazioni italiche: ad esempio i Liguri, popolazione di allevatori migrata secondo le tesi corrente dalla penisola Iberica, erano attestati nell'Italia del Nord prima dell'avvento degli indoeuropei e secondo il frammento 55 di Esiodo (Hesiodus VIII secolo a. C. – VII secolo a. C.), citato da Strabone (Strabo; ante 60 a. C. – 23 d. C., Geografia, IV, V VII) si sarebbe trattato della più antica civiltà dell'Europa occidentale, tesi confermata anche dagli studi moderni.
In particolare l'Italia centrale, territorio interessato all'evoluzione delle razze presentate in questo articolo, fu abitata sin dal X secolo a. C dal popolo dei Piceni, di origine indoeuropea: il ritrovamento di strumenti preposti alla lavorazione della lana (e. g. pesi da telaio), testimonia l'importanza della pastorizia presso questa popolazione.
Poiché il cane rappresenta l'ausilio indispensabile nell'attività pastorale ne consegue che anche il territorio della penisola italiana fu caratterizzato dalla presenza di cani da pastore sin dalla remota antichità.
È probabile che alcune razze da pastore italiane conservino gran parte del patrimonio genetico originario, e di conseguenza le attitudini che caratterizzavano in origine gli antichi cani da pastore asiatici giunti nella penisola.
I cani da pastore possono essere suddividi in tre tipi, in funzione del compito: Il Cane da Guardia, Il Cane conduttore, Il Cane da allarme. In questo articolo vengono presentate tre antiche razze da pastore italiane: una "da guardia" ovvero il Mastino Abruzzese e due "da conduzione" ovvero il Cane Paratore Italiano e il Pastore Italiano.
Il cane da pastore "da allarme" è tipico della pastorizia italiana: pur non rappresentando una razza omogenea, esso ricopre, come vedremo, un'importanza notevole nella formazione del Cane Paratore Italiano.
Il Mastino Abruzzese
Il Cane da pastore preposto alla guardia ricopre l'esclusivo ruolo di protettore del gregge, scongiurando l'attacco di predatori, l'abigeato e intervenendo in qualsiasi caso una o più pecore siano in pericolo o in condizioni di vulnerabilità.
Un caso significativo è rappresentato dal cane che protegge la pecora che ha appena partorito (comportamento abituale ed innato nel Mastino Abruzzese).
Il Cane da guardia rappresenta il primo cane "da pastore" in assoluto: la sua figura è nata con la pastorizia stessa e, in particolare con la pastorizia nomade, in un'area compresa fra la Turchia, la Siria, l'odierno Iraq e l'Asia centrale, nel corso del VII millennio a. C.
I primi cani per la guardia al gregge erano senza dubbio i diretti discendenti dei celebri mastini da guerra ritratti nei bassorilievi Assiro-Babilonesi, quindi accomunati dalla medesima origine filogenetica: cani di grandi dimensioni (sempre oltre i 50 kg di peso) e appartenenti prevalentemente – secondo la classificazione morfologica del Megnin – al gruppo molossoide. I recenti studi genetici (Lynch D. & Madeoy J., 2004) hanno confermato il III – IV millenio a. C quale epoca più probabile di comparsa dei cani molossoidi.
Nel corso dei millenni, essi hanno subito una severa selezione che ha determinato l'attuale tipicità, mantenendo solo alcune delle caratteristiche dei propri antenati e raggiungendo una generale uniformità morfo-funzionale.
Dal punto di vista etologico il cane da guardia al gregge non deve avere nessuna attitudine predatoria affinché non sia portato ad aggredire le pecore o non venga distratto dalla selvaggina, allontanandosi e abbandonando il gregge; unitamente deve avere buona attitudine ad operare in gruppo con i propri consimili, quindi l'aggressività e la propensione al combattimento, per quanto ben presenti, devono essere rivolte esclusivamente agli estranei e controllabili da parte del padrone; si tratta di un comportamento innato e assolutamente distintivo (Coppinger & Coppinger, 1982), che può al massimo essere affinato mediante l'addestramento e che fa evidentemente parte del patrimonio genetico-comportamentale dei cani da guardia al gregge.
Oltre alle grandi dimensioni, i cani da guardia al gregge sono caratterizzati da un mantello fittissimo, costituito generalmente da folto e lanoso sottopelo e pelo lungo, in grado di proteggerli nelle condizioni climatiche più avverse: in particolare dal gelo, dalla neve e dall'umidità. In sintesi si tratta di razze perfettamente adattate alla vita nomade.
In Italia, come è accaduto in altre aree del mondo, con modalità differenti di volta in volta, la pastorizia nomade degli albori si è evoluta in transumanza. Il termine deriva dalla composizione di due parole latine: l'avverbio "trans" (= oltre) e "humus" (= terreno, suolo), indica lo spostamento stagionale delle greggi dai pascoli alti verso la pianura durante l'inverno e viceversa durante l'estate, percorrendo centinaia di chilometri.
Questo tipo di sfruttamento dei pascoli caratterizza l'appennino dell'Italia centro-meridionale sin dall'età del rame (4500 a. C.) e acquisì nel corso del tempo una fondamentale importanza economica al punto da essere disciplinata a norma di legge a partire dall'epoca romana (e. g. lex agraria, 111 a. C.) La transumanza dell'Italia centro-meridionale viene anche definita "transumanza orizzontale" per differenziarla dalla "transumanza verticale" tipica dell'arco alpino: nel primo caso si tratta dello spostamento del bestiame, principalmente ovino, su grandi distanze indipendentemente dalla quota e nel corso di un lungo arco di tempo, settimane o mesi; nel secondo caso lo spostamento del bestiame, sia ovino che bovino, è a corto raggio e assume l'aspetto di una migrazione altimetrica, nell'arco di uno o pochi giorni.
In genere la transumanza è tipica dei paesi del bacino mediterraneo, nei i territori dell'Europa meridionale dal Portogallo sino alla penisola balcanica: un'area in genere caratterizzata da inverni piovosi/nevosi ed estati calde che assicurino abbondante pascolo in quota.
Questi territori corrispondono esattamente all'areale di diffusione e allevamento di razze di cani specializzati nella guardia al gregge, razze sorprendentemente simili le une fra le altre, senza dubbio di origine monofiletica: grandi cani dal folto mantello totalmente o prevalentemente bianco.
La transumanza dell'Italia centrale e meridionale si snoda lungo percorsi denominati "tratturi" (dal latino "trahere" = condurre) ovvero piste prevalentemente erbose, larghe talvolta oltre 100 m, collegate alle località da numerosi percorsi secondari ("traturelli" e "bracci") e intervallate da stazioni dette "riposi", ovvero aree di pascolo temporaneo.
L'insieme dei tratturi e dei percorsi secondari costituiscono una complessa rete, il cui sviluppo supera i 3000 km complessivi e la cui importanza, nel corso dei secoli, fu anche culturale assicurando lo spostamento di conoscenze, notizie, elementi linguistici, artigianato, attività commerciali.
Per esempio, il tratturo più lungo e importante è quello che dalla città di L'Aquila porta fino a Foggia, chiamato anche Tratturo Magno o Tratturo del Re: un percorso lungo 244 km, largo in alcuni punti oltre 100 metri.
La transumanza, sia in Italia che altrove, rappresenta un tipo di pastorizia nomade organizzata, tuttavia i rischi affrontati dagli uomini e agli animali restano elevati: i lunghi percorsi attraverso territori prevalentemente selvaggi o poco antropizzati espongono il bestiame ad aggressioni da parte di predatori o ladri, quindi la presenza di uno o più cani da guardia è indispensabile.
Per questo motivo, in tutto il mondo la figura del cane da guardia è inscindibile dai concetti di transumanza o di pastorizia estensiva; inoltre l'elevato numero di pecore assicura a sua volta il mantenimento degli stessi grandi cani da guardia, poiché la principale fonte di proteine destinata al loro mantenimento deriva proprio dal siero di latte: la pastorizia transumante e l'attiva protezione delle pecore sono strettamente interdipendenti.
La necessità e l'efficienza dei cani da guardia nella protezione del gregge è stata ampiamente dimostrata (Coppinger et al. 1988): la presenza dei cani permette di ridurre l'abbattimento del bestiame da parte di predatori del 70 % ed oltre.
Per descrivere accuratamente il Mastino Abruzzese è necessario innanzi tutto fornire alcuni chiarimenti: sussiste infatti una discreta confusione fra Mastino Abruzzese e Pastore Maremmano Abruzzese, noto impropriamente con i nomi di "Pastore Maremmano" o "Maremma Dog" nei paesi anglosassoni.
La FCI (Fédération Cynologique Internationale) riconosce la razza denominata "Cane da Pastore Maremmano-Abruzzese" (standard N° 201 – 1981), in seguito alla fusione fra i nomi "Pastore Maremmano" e "Pastore Abruzzese" avvenuta nel 1958. In genere, nel mondo, le denominazioni "Maremma dog" o "Pastore Maremmano" fanno riferimento alla razza riconosciuta dalla FCI, tuttavia i termini "Maremmano" o "Maremma" sono storicamente fuorvianti e inesatti.
La Maremma è un vasto territorio compreso fra Toscana e Lazio, dai confini difficilmente definibili, estesa lungo le coste dei Mari Ligure e Tirreno e a Ovest della catena appenninica.
La parola "maremma" deriva dal latino "maritima" (territorio marino) o dal Castigliano "marisma" (palude), in entrambi i casi è testimoniata la natura di un territorio difficile a causa della elevata umidità, che l'ha resa oggetto di importanti opere di bonifica sin dall'antichità.
In questo territorio, così come nel resto della Toscana, non esistono testimonianze storiche di allevamento di grandi cani bianchi da guardia.
Inoltre il cuore dell'economia pastorizia italiana, basata sulla transumanza, e quindi l'impiego dei cani da guardia, è concentrato sin dall'antichità lungo i fianchi centro-orientali della catena appenninica (regione Abruzzo e dintorni); ciò nonostante furono i cinofili toscani i primi a prendere in considerazione i cani da guardia abruzzesi dal punto di di vista sportivo, facendoli conoscere anche in Inghilterra nel corso del XIX secolo (e. g. Grand National Dog Show di Nottingham, october 1872). Oggi si può asserire che il nome "Maremma dog" è storicamente inesatto poiché la Maremma, e quindi la Toscana, fu zona di diffusione e non di origine/allevamento di questa stirpe di cani (Breber, 1977).
La razza riconosciuta ufficialmente come Cane da Pastore Maremmano-Abruzzese (Maremmano-Abruzzese Sheepdog) è stata selezionata a partire da una popolazione di cani da lavoro identificabile con il Mastino Abruzzese.
È causa di vivaci discussioni fra cinologi se il Pastore Maremmano-Abruzzese e il Mastino Abruzzese siano due tipologie – rispettivamente "sportiva" e "da lavoro" – della medesima razza, oppure se siano ormai da considerarsi razze separate.
Esistono diversi tipi geografici di Mastino Abruzzese, e ciò rende difficile una separazione morfologica netta dal Pastore Maremmano-Abruzzese, tuttavia è chiaro che il Mastino rappresenta una popolazione primitiva e genuinamente da lavoro e che la media delle differenze morfologiche (e. g. dimensioni generali, struttura del cranio, tessitura del pelo) sembra indicare la separazione fra le due razze.
In sintesi: nonostante il Mastino Abruzzese non sia ufficialmente riconosciuto dalla FCI, esso è, storicamente e geneticamente, il vero "antenato" del "Pastore Maremmano-Abruzzese" ed è da considerare razza distinta.
L'area di origine remota dei cani bianchi per la guardia al gregge è l'Asia centrale: da qui giunsero gli antenati delle tipiche razze da guardia oggi riconosciute (e. g. Kuvasz, Slovensky cuvar, Mastin De Los Pyreneos, Chien de montagne des Pyrénées, ecc.), quindi anche i lontani antenati del Mastino Abruzzese giunsero da lì.
Ogni razza appartenente a questo gruppo si è evoluta in seguito nei territori di allevamento, acquisendo man mano la propria identità.
Il Mastino Abruzzese presenta appieno l'innato istinto di protezione nei confronti delle pecore e – se necessario - anche nei confronti di altri piccoli animali domestici, non solo in caso di predazione da parte di lupi o orsi ma anche in qualsiasi momento di vulnerabilità o difficoltà, ad esempio qualora una pecora partorisca o sia ferita.
La presenza e l'impiego di questa razza nel territorio dell'Italia centro-meridionale è testimoniato su base storica.
Lo scrittore latino Marcus Terentius Varro (116 BC – 27 BC) ha tramandato nella propria opera "De Re Rustica" (About the Agronomic argument) una descrizione accurata del "Canis pastoralis": (…) “Facie debent esse formosi, magnitudine ampla, oculis nigrantibus aut ravis” (…) “latrato gravi, hiatu magno, colore potissimum albo, quod in tenebris facilius agnoscuntur, specie leonina” “Devono essere belli di aspetto, grossi di corporatura, occhi sul nero o sul giallo” (… ) “latrato profondo, grande apertura di bocca, colore preferibilmente bianco, che si possa riconoscere nelle tenebre, aspetto leonino”.I caratteri descritti dall'autore latino sono i medesimi che si possono riconoscere nel Mastino Abruzzese odierno e che possiamo ammirare nella la scultura di molosso, con le orecchie tagliate, conservata nel Cortile del Belvedere dei Musei Vaticani, risalente ad un periodo compreso fra il 100 a. C. e l d. C., coeva di Varrone.
Un altro autore latino, Lucius Giunius Moderatus Columella (I B. C. - ?), conferma la preferenza del colore bianco nei cani da pastore:
(...) "Pastor album probat, quoniam est ferae dissimilis, magnoque opus interdum discrimine est in propulsandis lupis sub obscuro mane vel etiam crepusculo, ne pro bestia canem feriat",
"Il pastore preferisca il bianco, perché è molto diverso dalle bestie selvatiche e questa diversità è necessaria quando si dà la caccia ai lupi, nella semioscurità del mattino o del crepuscolo, affinché non si colpisca il cane anziché la fiera".
Le testimonianze latine tramandano un particolare importante: il tipico cane da pastore del territorio italico, sino al periodo romano – ovvero il "Canis pastoralis" - era esclusivamente un cane da guardia: l'economia pastorizia latina era infatti basata sulla transumanza, praticata nel territorio montuoso centro-meridionale già all'epoca, un'area asciutta e facilmente praticabile rispetto alle pianure paludose estese fra Toscana e il Lazio.
Sino al XIX secolo il Mastino Abruzzese fu il cane tipico della "regione dei tratturi": area del Regno di Napoli costituita dalle odierne regioni Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata.
L'aspetto, il ruolo e le capacità del Canis pastoralis non sono mutate nei millenni: esso è perfetto per allontanare i predatori dal gregge.
Ho scritto "allontanare" perché in realtà la casistica degli scontri fisici diretti fra Mastino Abruzzese e lupo è ridotta: la sottospecie del lupo italiano (Canis lupus italicus, Linnaeus 1758) è adattata ad un habitat fortemente antropizzato sin dall'antichità, non forma grandi branchi ma piccoli gruppi famigliari di due o tre individui, ha sviluppato una grande astuzia ed è in grado di valutare quando il numero e la forza dei mastini sono troppi per tentare una sortita contro il gregge.
Nonostante il Mastino Abruzzese mostri innata aggressività (frutto di continua selezione) nei confronti dei predatori e in particolare nei confronti del lupo, quest'ultimo è pur sempre un avversario formidabile che può avere la meglio su cani giovani o isolati.
Un Mastino Abruzzese maschio di età compresa fra i cinque e i sei anni (in genere il capo-muta) può avere qualche possibilità di tenere testa al lupo in un corpo a corpo (Breber, 1977), tuttavia è uso antico proteggere il cane con un collare metallico armato di punte, detto in dialetto abruzzese "vreccale" o "roccale" considerato quindi "arma difensiva". Non mancarono in passato anche "armi offensive" come il pettorale armato di punte.
È interessante osservare che l'uso del collare difensivo è arcaico (Vedi Foto 10) e diffuso in tutte le aree in cui vengano impiegati cani destinati a contrastare i lupi, dall'Asia sino alla penisola iberica (Vedi Foto 11).
Attraverso i secoli ci sono giunte molteplici testimonianze iconografiche riguardo all'impiego e alla costante morfologia del Mastino Abruzzese
Non bisogna dimenticare che l'omogeneità morfologica dei Mastini Abruzzesi è sempre stata ed è tuttora considerata di secondaria importanza rispetto alle qualità lavorative: la morfologia e la bellezza sono una diretta conseguenza delle necessarie doti lavorative del cane.
La relazione empirica fra forma e capacità ha aiutato i pastori a selezionare questi cani da lavoro; oggi potremmo parlare di uno "standard" empirico riassumibile nei punti: grande massa (sino a oltre 80 kg per i maschi); testa potente e larga; torace ampio; mantello assolutamente candido.
Nonostante il rischio rappresentato da incroci che potrebbero minare le capacità lavorative, i pastori abruzzesi hanno in passato rinsanguato il Mastino Abruzzese con un'altra antica razza italiana: il Cane Corso
(Standard FCI n° 343; 24 giugno 1987).
Il Cane Corso, indigeno della Puglia e con i medesimi antenati del Mastino Napoletano, veniva impiegato in passato nel catturare il bestiame bovino brado e i cinghiali; l'apporto di questa razza ha contribuito a incrementare la combattività e la generosità del Mastino Abruzzese.
L'apporto genetico di Cane Corso ha tuttavia determinato la comparsa di cani dal mantello pezzato.
In passato gli esemplari pezzati o rossicci venivano talvolta eliminati drasticamente, tuttavia questa non era una regola: ancora oggi, in alcune zone, viene ammessa l'esistenza di Mastini Abruzzesi dal mantello pezzato: questi esemplari sono destinati esclusivamente alla guardia alla fattoria, non sono considerati adatti alla pastorizia; vengono chiamati "Mezzocorso" (Half-Corso) o, a causa del colore bianco e nero, "varietà domenicana" ricordando il saio bianco e nero dei frati domenicani.
La dieta tipica dei Mastini Abruzzesi consiste in siero di latte, pane, talvolta crusca.
Un aspetto sorprendente, relativo alla sfera fisio/comportamentale, è il rifiuto da parte dei Mastini Abruzzesi a nutrirsi di carne di pecora: probabilmente è un retaggio che deriva tanto dalla selezione genetica quanto dall'imprinting, questi cani mancano assolutamente di istinto predatorio e di ogni tendenza all'aggressione nei confronti degli ovini.
La capacità dei Mastini Abruzzesi di metabolizzare facilmente gli amidi potrebbe essere un indizio della arcaicità genetica della razza: alla luce di recenti studi (Axelsson et al., 2013) l'acquisizione della capacità di metabolizzare facilmente gli amidi, rispetto ai lupi e agli altri rappresentanti del genere Canis, rappresenta un passaggio cruciale nella domesticazione dei primi cani.
Il lavoro sul campo viene svolto da un numero variabile di cani: usualmente si considera un rapporto pecore/Mastini di 100/1, ma il numero dei cani può variare ed essere superiore qualora il gregge debba spostarsi in aree particolarmente ricche di predatori, è quanto si può osservare in Italia da regione a regione: in Abruzzo, per esempio, viene impiegato un numero di cani superiore rispetto alla Toscana o al Lazio (Maurizio Marziali da colloquio diretto).
Il Mastino Abruzzese è razza rigorosamente da lavoro; non essendo riconosciuta, non è tutelata da organi ufficiali (ENCI - FCI) e viene mantenuta in purezza da appassionati, allevatori e pastori; l'unico tentativo di tutela ascende ad un progetto di legge della regione Abruzzo del 2002 proposta dal Circolo Italiano Mastino Abruzzese (CIMA).
Il Cane Paratore Italiano
Il Cane Paratore Italiano viene chiamato anche "Cane Toccatore" ("Toucher Dog") poiché è solito guidare le pecore con rapidi e leggeri tocchi del muso, infatti questa razza è contraddistinta proprio dalla delicatezza nel condurre le pecore.
In lingua italiana il termine "paratore" ricorre nel contesto zootecnico ad indicare il cane da pastore specializzato nella conduzione del bestiame ovino e – all'occorrenza – bovino.
A differenza di quanto è avvenuto per il Mastino Abruzzese, le testimonianze storiche relative al cane da conduzione (Herding Dog) in Italia sono pressoché assenti.
I testi latini già citati ci permettono solo di dedurre che, sino all'epoca romana, non esistevano in territorio italico cani specializzati nella conduzione: l'antico Canis pastoralis era esclusivamente da guardia.
Un primo indizio è deducibile dalla etimologia del termine "paratore": in latino classico il verbo "parare" significa "preparare", in questo caso non sembra esserci attinenza logica con l'attività del cane.
Tuttavia se si considera il latino volgare del tardo medioevo (dopo l'anno 1000 circa), il verbo assume il significato di "spingere innanzi" o "porsi davanti": un significato che permane tutt'oggi in alcuni dialetti dell'Italia del Nord-Est; la medesima radice filologica è contenuta nel termine "parata".
"Paratore" è quindi il cane da pastore che guida il gregge in determinate direzioni e ne regola il movimento.
Gli eventi storici sembrano confermare l'origine medievale di questa stirpe di cani indigeni dell'Italia centrale: In Italia centro-settentrionale, a partire dai XIII - XIV secoli, lo sviluppo degli scambi commerciali e delle attività economiche nei Comuni attirò dalle campagne un grande numero di liberi contadini, allettati dalla possibilità di abbracciare le proficue attività di commercio e artigianali.
Questa migrazione determinò un conflitto fra nascente economia cittadina ed economia feudale, basata sulle attività rurali; i signori feudali furono i primi a subire il danno economico e per trattenere la popolazione contadina dovettero modificare profondamente i rapporti di dipendenza mediante larghe concessioni: l'enfiteusi, ovvero il diritto di sfruttamento del terreno a lungo termine, e la formazione delle prime gestioni associate che determinarono la nascita dei primi poderi.
Di conseguenza l'estensione dei terreni destinati alla coltivazione crebbe grazie ad opere di bonifica e disboscamento e il numero di grandi predatori diminuì drasticamente in seguito alla caccia sistematica.
Poiché i pascoli e i terreni coltivati si alternavano strettamente, era necessario un nuovo ausilio nel lavoro del pastore/agricoltore affinché il bestiame venisse contenuto entro i pascoli senza sconfinare e quindi danneggiare le vicine colture: in questo periodo compaiono in Italia i primi cani da conduzione specializzati.
Affinché il cane da conduzione possa essere considerato tale, deve mostrare caratteri morfo/funzionali molto precisi: è di taglia media o medio-piccola, tipicamente e necessariamente – come vedremo – lupoide, veloce, scattante e di acuta intelligenza, in grado di sviluppare una vera empatia con il padrone/conduttore onde interpretare ed eseguire rapidamente i suoi ordini, ma dotato anche di autonomia decisionale e capacità risolutiva.
Alcune opere artistiche del XIV secolo testimoniano la presenza dei primi cani con le caratteristiche morfologiche dei cani da conduzione:
Il cane da conduzione è necessario nella pastorizia stanziale o semi-stanziale quanto la presenza del cane da guardia è necessaria nella transumanza.
Dal punto di vista etologico, il cane da conduzione può essere considerato l'antitesi del cane da guardia.
Quando i cani da conduzione radunano e guidano il bestiame o separano una parte del gregge, utilizzano le medesime tattiche – con alcune differenza da razza a razza – utilizzate in natura dai lupi durante la caccia ai grandi erbivori.
L'attività dei cani da conduzione è una sorta di caccia mimata, mancante di atteggiamenti cruenti.
Il gregge reagisce e si muove di fronte alla tattica e all'aspetto "lupino" dei cani da conduzione, quindi il risultato finale deriva dall'incontro di due moduli etologici: quello (parzialmente) predatorio del cane e quello di difesa passiva (tendenza alla fuga) delle pecore.
I due tipi di cani da pastore – da guardia e da conduzione – hanno attitudini antitetiche (Breber, 1977): mentre il cane da guardia deve assolutamente mancare di istinto predatorio, il cane da conduzione svolge il proprio compito mimando l'attività di predazione: la cooperazione fra cani da guardia e cani da conduzione è determinata principalmente dall'abitudine, dall'addestramento e dall'intelligenza adattabile dei cani stessi
Un cane da guardia che non abbia mai visto un cane da conduzione è possibile che lo attacchi identificandolo come predatore (Coppinger 1982).
Secondo la tradizione orale, per aumentare la capacità di predazione fittizia, il Cane Paratore Italiano sarebbe stato incrociato in passato con i lupi; una immagine risalente agli anni '50 potrebbe confermare questa ipotesi
Solo un'analisi genetica potrebbe confermare – o smentire – l'ipotesi; è provato comunque che da un incrocio Cane da pastore/Lupo non c'è alcuna sicurezza di ottenere, entro poche generazioni, cani da conduzione affidabili: è necessaria una lunga ed accurata selezione onde sopire l'istinto predatorio ereditato del lupo ed ottenere una buona addestrabilità.
Un altro contributo alla formazione della razza potrebbe essere stato fornito da razze di origine spagnola.
L'Italia centro-meridionale fu sotto il dominio spagnolo sin dal XIV secolo e gli scambi commerciali e culturali fra la penisola italiana e iberica furono costanti sino al XVIII secolo.
In Italia vennero introdotte le pecore di razza Merino e, così come accadde in seguito in altre parti del mondo, al seguito di queste greggi giunsero anche cani da conduzione probabilmente simili agli attuali Pastori Catalani.
Non è escluso che nel Cane Paratore abbia anche una ascendenza di cani di tipo Spitz.
I Mastini e i cani da conduzione venivano spesso affiancati da piccoli cani, denominati "pumetti" o "pomini" nei dialetti del centro Italia. Il nome deriva da una deformazione del termine "pomeranian"; sembra evidente che questi piccoli cani, vivaci e rumorosi, discendano da spitz nordeuropei introdotti in Italia a partire fra il XVI e il XVII secolo.
In virtù degli acutissimi sensi e del temperamento nevrile, pur non rappresentando una razza definita, possono essere considerati la terza tipologia del cane da pastore: il "Cane da allarme".
L'allele "Merle", determinante la diluizione del colore del mantello, nella forma eterozigotica "Mm", o la depigmentazione, nella forma omozigotica "MM", si presenta raramente nel Cane Paratore Italiano e con effetti blandi, quindi, poiché la presenza del gene "Merle" è tipico dei cani da conduzione "tipo collie", diffusi principalmente nelle isole britanniche e in Europa meridionale attraverso Spagna, Francia, Italia del Nord, Germania e Ungheria, sembra probabile che il Cane Paratore Italiano non sia stato incrociato in tempi recenti con cani da pastore appartenenti a questo gruppo.
La presenza di cani di tipo lupoide indigeni è confermata nella penisola italiana sin dal neolitico: nel 2009 fu rinvenuta una sepoltura nei pressi di Mantova (Nord Italia): la tomba di un cacciatore, inumato con il proprio cane, molto simile ad un piccolo lupo (vedi riferimenti web in bibliografia).
In questi cani autoctoni si potrebbe riconoscere l'origine più lontana del Cane Paratore.
La progressiva selezione in funzione strettamente lavorativa e l'ambiente avrebbero determinato infine l'omogenizzazione funzionale della razza.
Il Cane Paratore è tipicamente lupoide, di taglia medio-piccola (15 kg - 25 kg in media); il mantello è corto o semi-lungo, ruvido e "caprino"; il colore di base è grigio con sfumature varie, in alcuni casi totalmente nero.
Il temperamento è vivace, attento, intelligente: lavora tipicamente in squadra, composta di solito da tre o quattro elementi, a seconda delle dimensioni del gregge da condurre.
Nonostante sia tuttora impiegato abitualmente, il Cane Paratore Italiano è ad alto rischio di estinzione: la popolazione è minacciata dall'introduzione di razze non autoctone, soprattutto il pastore Belga Groenendael, che minano la purezza fenotipica e comportamentale; attualmente il Cane Paratore Italiano non è tutelato da società; in Italia un solo allevatore, Maurizio Marziali, sta cercando pazientemente di recuperare e riprodurre gli ultimi esemplari.
Il Pastore Italiano
Le caratteristiche del territorio italiano, relativamente poco esteso, fortemente antropizzato, con molte zone montuose, hanno fatto sì che i pastori dell'Italia centrale si avvalessero contemporaneamente di cani da guardia – Mastino Abruzzese – e cani da conduzione – Paratore Italiano (o stirpi affini).
In genere i pastori hanno sempre cercato di mantenere separate le due linee, destinate a compiti differenti e caratterizzate da attitudini etologiche parzialmente antitetiche.
È impossibile sapere con precisione quando avvennero incroci fra i cani da guardia e da conduzione, tuttavia ciò avvenne e il frutto di tali incroci venne mantenuto.
Intorno al 1975 l'allevatore Piero Accettella osservò fra le regioni Abruzzo, Marche, Lazio, Toscana e Umbria, la presenza ricorrente e l'impiego lavorativo di cani dal mantello completamente nero e dai tratti morfologici intermedi fra il molossoide e il lupoide,
discendenti da incroci fra Mastini Abruzzesi e cani da conduzione. Decise di raccogliere i soggetti più tipici per stabilizzare e incrementare la popolazione di questi cani, battezzando la razza semplicemente "Pastore Italiano" (la denominazione ufficiale ascende agli anni '90), con riferimento alle origini prettamente indigene.
Come accade per gran parte delle razze da pastore, non ci sono documenti storici che ci permettano di stabilire date precise del passato remoto della razza, tuttavia la caratteristica del colore nero (già presente nel patrimonio genetico del Cane Paratore Italiano), mantenuta nel corso del tempo ad opera degli allevatori/pastori, rappresenta un indizio interessante.
Nell'opera di Lucius Giunius Moderatus Columella, considerata l'opera più importante riguardo all'agronomia dell'intera antichità, viene descritto nei tratti morfo/funzionali il cane da guardia ideale per la fattoria:
(...) Villaticus, qui hominum maleficiis opponitur, sive luce clara fur advenit, terribilior niger conspicitur, sive noctu, ne conspiciatur quidem propter umbrae similitudinem, quam ob rem tectus tenebris canis tutiorem adcessum habet ad insidiantem.
"Il cane da cortile, che si oppone alle incursioni di uomini, quando il ladro venga nel giorno chiaro, ha aspetto più terribile se è nero, se di notte non si vede perché è simile alle ombre, perciò, coperto da esse, il cane può avvicinarsi all'intruso con meno pericolo".
Questo non dimostra che il Pastore Italiano sia diretto discendente dei cani da fattoria romani, in Italia le origini dei primi incroci fra molossoidi e cani da conduzione ascendono presumibilmente al periodo medievale, ma l'impiego e le peculiarità morfo/funzionali di questa razza sono le medesime degli antichi cani da fattoria del periodo romano/latino, a partire dal colore rigorosamente nero.
È un cane da lavoro poliedrico, in grado di ricoprire vari ruoli nel contesto rurale: è perfettamente in grado di condurre il gregge, anche se è più pesante del Cane Paratore e dei cani da conduzione in genere; la grande taglia lo rende più adatto a gestire il bestiame di grande taglia, è significativa infatti la sua affinità con i cavalli (Piero Accettella, da corrispondenza personale).
Il Pastore Italiano ha ereditato dal Mastino l'attitudine alla vigilanza del territorio e della proprietà, dal cane conduttore ha ereditato l'addestrabilità e la vivacità; da entrambi la rusticità, la longevità e l'equilibrio psichico.
La primitività della razza emerge chiaramente nel momento del parto: la femmina partorisce in tane scavate nel terreno e provvede in totale autonomia alla nascita dei cuccioli.
A partire dal 1999 alcuni esemplari sono stati inseriti con successo nei reparti dei Carabinieri in qualità di cani antidroga; nel 2000 è iniziato l'impiego in qualità di cane guida.
È un cane di taglia grande, struttura potente ma non massiccia, presenta un moderato dimorfismo sessuale; il mantello corto o semilungo, di colore uniforme nero; peso e altezza: circa 45 kg e 70 cm al garrese per il maschio, 35 kg e 56 cm al garrese per la femmina.
La razza è relativamente rara e poco conosciuta al di fuori dal territorio italiano, ma viene accuratamente tutelata da un club specifico di appassionati (Fan Club del Pastore Italiano) affinché venga perpetuata e fatta conoscere nel pieno rispetto delle sue caratteristiche originarie, proteggendola dai rischi che derivano dalle "mode".
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Riferimenti Web:
Cane Paratore Italiano e Mastino Abruzzese
: http://www.allevamentosanprocolo.com/Home.html by Maurizio Marziali
Pastore Italiano: http://www.pastoreitaliano.it/ (in Italian) by Piero Accettella
Video: http://www.youtube.com/watch?v=OJw8xK5Kksc&feature=plcp
Transumanza in Italia:
http://www.amicideiborghi.com/itinerari/13/trekking-sul-tratturo.html
http://www.montidauniturismo.it/jsps/10/Home/11/MENU/154/Da_fare_e_da_vedere/214/Itinerari_e_sentieri/215/Itinerari_culturalinaturalistici_religiosi.jsp
Sepoltura Neolitica a Mantova:
http://gazzettadimantova.gelocal.it/cronaca/2009/07/15/news/dopo-gli-amanti-trovato-il-cacciatore-sepolto-col-suo-cane-1.71599
Video:
Pastori Maremmano – Abruzzesi al lavoro (documentario da National Geographic)
http://www.youtube.com/watch?v=uNgf3qJY40E&feature=related
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